Motivazioni risibili dietro una deliberazione priva di requisiti scientifici
di Bruno D'Aguanno
È del 5 gennaio la pubblicazione sul sito della Regione Sardegna di una deliberazione, la 52/41, che, dichiarando la Sardegna inidonea allo sfruttamento dell’energia solare concentrata (Csp) altrimenti nota con il nome di Solare termodinamico a concentrazione, al fine della produzione di energia elettrica a costi competitivi, nega la possibilità per un privato (nella fattispecie) Sorgenia di investire in Sardegna 250 milioni di euro.
La delibera, datata 23 dicembre 2011, scivola su inesattezze, svarioni, invasioni di campo e affermazioni palesemente in contraddizione con quanto afferma da anni la ricerca scientifica del settore, le politiche di investimento in innovazione dell’Ue, i decreti di incentivazione nazionale e le associazioni di categoria. Le motivazioni alla base della negazione appaiono decisamente “non tecniche”, vediamo in che modo. Innanzitutto si afferma che il sito prescelto non è idoneo alla realizzazione dell’impianto poiché l’energia che arriva dal sole in quella località è di 1813 kWh/mq (kilowattora a metro quadro) e quindi inferiore ai circa 2000 caratteristici degli impianti realizzati in zone desertiche. Se questa affermazione venisse utilizzata a livello nazionale ne risulterebbe che l’Italia deve rinunciare alla realizzazione degli impianti Csp per scarsità di sole, che l’impianto Csp a sali fusi Enel-Enea costruito a Priolo, in Sicilia, sarebbe dunque antieconomico, e che la normativa nazionale che incentiva l’energia elettrica prodotta dal Csp sarebbe da rivedere. Inoltre, se accettassimo considerazioni simili per altre tecnologie, dovremmo rifiutare anche il fotovoltaico (Fv), che presenta ancora oggi efficienze minori proprio rispetto al Csp.
Nella deliberazione si parla anche di consumo di territorio. Allora vediamo i numeri: il Csp in Sardegna riesce a produrre energia elettrica alla potenza nominale per circa 3 mila ore all’anno con un’efficienza intorno al 20 per cento, mentre il Fv produce energia elettrica per circa 1500 ore all’anno con efficienze inferiori al 15. Ne consegue che il Csp consuma circa la metà di territorio per unità di energia prodotta rispetto al Fv. E rispetto a un parco eolico il Csp consuma meno della metà di territorio. Eppure in Sardegna gli impianti eolici e fotovoltaici vengono regolarmente autorizzati. La delibera parla anche dei sali fusi, una miscela 60-40 di nitrato di sodio e di potassio, che vengono utilizzati nell’accumulo termico per far funzionare il Csp anche in assenza di sole. Nel documento della Regione si afferma che questi sali sono da considerarsi inquinanti delle falde acquifere poiché solubili in acqua. Evidentemente gli estensori della deliberazione di diniego al solare termodinamico non sono mai andati in un consorzio agrario a comprare concimi per uso agricolo. Se l’avessero fatto avrebbero letto sui sacchi di concime proprio la stessa composizione chimica dei sali fusi del Csp. E infatti la normativa italiana sui sali usati nella tecnologia del Csp, che poi è quella promossa da Carlo Rubbia alla cui creazione ha contribuito anche la Sardegna quando il Nobel per la Fisica è stato presidente del Crs4, specifica la loro assoluta non pericolosità. Appare dunque paradossale osservare che la Regione da un lato impedisce la costruzione di un impianto Csp e contemporaneamente si appresta a impegnare 13 milioni di euro in impianti Csp da realizzare a Ottana, dove l’irraggiamento solare è minore di quello di Macchiareddu, e ulteriori 13 con un bando pubblicato il 12 gennaio 2012: “Avviso pubblico per la presentazione di manifestazioni di interesse da parte di Consorzi industriali e/o Comuni della Sardegna, a realizzare e gestire uno o due impianti a tecnologia solare termodinamica a concentrazione”. In quest’ultimo caso la Regione parla esplicitamente di impianti Csp da realizzare in siti con insolazione di 1500 kWh/mq anno, contro i 2 mila della delibera che si oppone all’impianto Csp targato Sorgenia. Un vero peccato pensare che l’investimento negato avrebbe permesso la realizzazione di un impianto Csp da 55 MWe nella zona industriale di Macchiareddu nella cui fase di realizzazione, della durata di oltre 24 mesi, si stimava un utilizzo di manodopera con punte di 500 uomini/giorno e una media di 200, mentre per la fase di gestione a regime era prevista l’assunzione a tempo indeterminato di oltre 20 unità. Non possiamo tacere il fatto che l’impianto avrebbe contribuito alla nascita di un indotto locale per le attività di manutenzione e di supporto tecnico al suo esercizio.
L’impianto, tecnologicamente innovativo e disegnato, nella fase iniziale, da strutture di ricerca finanziate anche dalla Regione, avrebbe certamente contribuito alla nascita di un polo tecnologico di ricerca focalizzato sullo sviluppo della filiera del solare a concentrazione, con ulteriori importanti ricadute in termini di attrazione industriale. Non si è semplicemente negata la realizzazione di un impianto industriale, si sono negate alla Sardegna reali opportunità di sviluppo nel settore delle energie rinnovabili. E avere energia eco-sostenibile e competitiva è la chiave del mantenimento di quel poco di industria che ancora sopravvive, così come del suo sviluppo. L’abbandono della Sardegna da parte dell’Alcoa di Portovesme è certo una vicenda complessa. Ma una cosa è certa: anch’essa è figlia dell’incapacità dei governi sardi di affrontare con competenza, con assenza di particolarismi, e nell’interesse collettivo, il problema energetico.
Sardinews, febbraio 2012
Blog del Programma Energie Rinnovabili
lunedì 6 febbraio 2012
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